Incredibile: sul Web gli insulti anche anonimi sono da considerarsi diffamatori. Si rischiano pene severissime e anche il carcere
Facebook, la Cassazione: “La diffamazione anche anonima è reato”
La Suprema corte ha deciso che se si parla male di una persona sui social anche senza nominarla direttamente, ma indicando particolari che possano renderla identificabile, si diventa passibili di condanna
In Italia la giustizia funziona così: uccidi 3 persone a picconate in mezzo alla strada e non ti fanno niente, insulti una persona su Facebook in maniera totalmente anonima e finisci in carcere.
Il pronunciamento di oggi della Cassazione farà certamente discutere, soprattutto perchè sancisce un principio che farà storia. Vediamo di cosa si tratta.
Un maresciallo capo della Guardia di Finanza di Roma aveva scritto sul proprio profilo Facebook una frase offensiva rivolta ad un suo collega, designato a guidare la compagnia al posto suo. Nel post, però, il maresciallo NON aveva indicato chiaramente il nome della persona a cui erano rivolte le accuse: si trattava di un post generico, senza un collegamento diretto a una precisa persona.
Per questa frase, il maresciallo era stato inizialmente condannato dal Tribunale Militare di Roma a tre anni di reclusione militare per diffamazione pluriaggravata. E già questo mi sembra assurdo, ma andiamo avanti.
In Appello il maresciallo era stato assolto per insussistenza del fatto e la Corte d’Appello aveva spiegato che si era giunti a quella sentenza per il fatto che la riconoscibilità di quella persona, presunta diffamata, risultava tale sono ad una ristretta cerchia di persone rispetto alle generalità che popolano il social network in questione. Tutto a posto, dunque? Assolutamente no!
Un primo capovolgimento di questa sentenza c’è stato quando il Procuratore Generale Militare ha evidenziato, nel suo ricorso, che quella frase in sostanza, una volta pubblicata su Facebook, era accessibile anche da altri utenti che potevano comunque a loro volta risalire alla riconoscibilità del soggetto anche per precise indicazioni contenute nel testo. E questo passaggio è fondamentale per la vicenda: da qui, infatti, la prima sezione penale della Cassazione ha riconosciuto quella impostazione e definisce come ascrivibile al reato di diffamazione anche il fatto di non nominare il soggetto che viene ad essere oggetto della diffamazione, ma tale soggetto è comunque riconoscibile da altri utenti per via di precise affermazioni che possono facilmente condurre all’individuazione dell’identità.
Inoltre la Cassazione ha sancito che ”il reato di diffamazione non richiede il dolo specifico” ma è sufficiente la “consapevolezza di pronunciare una frase lesiva dell’altrui reputazione e la volontà che la frase venga a conoscenza anche soltanto di due persone”.
Concludendo, dunque, da oggi è bene stare attenti a pronunciare espressioni particolarmente colorite e non troppo lusinghiere nei confronti di amici o colleghi, anche senza specificarne l’identità: si rischiano pene molto severe e anche il carcere. Per la serie “meglio pensarle che scriverle”. Prima di scrivere qualcosa su Facebook pensateci bene, adesso sapete cosa rischiate.
Ho un dubbio però: uno che scrive nella sua pagina Facebook “Mando tutti affanculo” potrebbe essere querelato da milioni di cittadini di tutto il mondo?
E così anche la censura su Facebook è servita. Finiremo come in Turchia con Twitter e YouTube oscurati?
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Qualche testa di c**** mi ha insultato su fb e io lo dovrei denunciare…