Se parli male del collega su Facebook senza nominarlo è diffamazione

State molto attenti: parlare male del collega su Facebook anche senza nominarlo è diffamazione

Diffamazione tramite Facebook: attenti a quello che scrivete sul social network

Tribunale-e-Facebook

Diffamazione su Facebook: Cassazione considera reato aggravato

State molto attenti a quello che scrivete su Facebook: se parlate male di colleghi, pur senza nominarli, potete essere accusati di diffamazione.

Ecco cosa è recentemente accaduto in Italia.

Prima di scrivere qualcosa su Facebook dovreste pensarci non una, non due, ma 3 o 4 volte. Perchè? Semplice: rischiate di essere accusati di diffamazione se offendete qualcuno su Facebook, anche senza nominarlo direttamente. 

Vediamo cosa è accaduto recentemente in Italia.

Frasi offensive su Facebook e il reato di diffamazione

A quanto pare, le espressioni ingiuriose utilizzate nel proprio profilo su Facebook che in qualche modo permettono di individuare il destinatario, anche se di questo non viene indicato il nome, integrano il reato di diffamazione, indipendentemente dalle conseguenze che ne derivano. E’ questo il principio espresso dalla Corte di Cassazione nella sentenza n. 16712, depositata il 16 aprile 2014.

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In pratica in questo modo l’offesa sui social network è entrata nel diritto italiano. Secondo la Cassazione è reato pubblicare sui social network frasi ingiuriose anche senza indicare il nome del destinatario. Ma cosa è successo esattamente? Cerchiamo di analizzare i fatti, in base a quello che si può leggere in rete. 

Qualche tempo fa, un maresciallo capo della Guardia di Finanza ha pubblicato sul proprio profilo Facebook le seguenti frasi:

“….. attualmente defenestrato a causa dell’arrivo di collega sommamente raccomandato e leccaculo …. ma me ne fotto … per vendetta appena ho due minuti gli trombo la moglie”.

Il riferimento del maresciallo era a un collega, che ha sporto querela nei suoi confronti.

Il maresciallo in primo grado è stato condannato alla pena di tre mesi di reclusione militare – con i doppi benefici – per il reato di diffamazione pluriaggravata.

In secondo grado, tuttavia, la Corte militare d’Appello ha ribaltato la sentenza di primo grado e assolto l’imputato per insussitenza del fatto: non vi era prova che il maresciallo avesse volutamente “comunicato con più persone in grado di individuare in modo univoco il destinatario delle espressioni diffamatorie”.

La sentenza è stata però impugnata davanti alla Corte di Cassazione, dove i giudici hanno osservato prima di tutto che la decisione della Corte d’Appello era contraddittoria rispetto alle affermazioni contenute nella sentenza. Il Giudice di secondo grado, infatti, ha affermato che vi era collegamento tra le espressioni negative “raccomandato” e “leccaculo” e la sostituzione, da parte del collega, al comando della compagnia della Guardia di Finanza. Ancora, ha affermato che la pubblicazione delle frasi sul profilo Facebook le ha rese di pubblico dominio, accessibili a chiunque sia registrato o effettui la registrazione sul popolare social network.

La Suprema Corte ha sottolineato poi, che, anche se non è stato indicato il nome del collega, la funzione e un riferimento cronologico, l’imputato ha utilizzato l’avverbio “attualmente” e la parola “collega”.  In pratica, la diffamazione non è un reato che richiede il dolo specifico, ma è sufficiente che ci sia la consapevolezza che la frase o le frasi pronunciate ledano la reputazione di colui al quale ci si riferisce e la “volontà che la frase venga a conoscenza di più persone, anche sotanto due”.

Per questi motivi la Corte di Cassazione, con la sentenza 16712/2014, ha annullato la sentenza di secondo grado, rinviando ad altra sezione della Corte militare d’Appello affinchè, alla luce dei criteri sopra citati, proceda ad una nuova valutazione della sussistenza dell’elemento soggettivo e oggettivo della fattispecie contestata.

In conclusione, dunque, da questa vicenda impariamo che bisogna stare molto ma molto attenti a quello che scriviamo sui social network: anche se scriviamo frasi generiche rivolte a qualche persona che non viene nominata direttamente, rischiamo di beccarci una denuncia e una condanna.

Facebook, parlare male anche senza fare nomi è reato

Prima di pubblicare qualcosa su Facebook e su internet in generale, pensiamoci due volte e facciamo molta attenzione prima di premere il famoso tasto “invio”.

Chi parla male di una persona su Facebook, senza nominarla direttamente, ma indicando particolari che possano renderla identificabile, va incontro a una condanna per diffamazione.

Fonte | http://www.franzrusso.it/


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